Bigenitorialità? Crederci

Le cifre ce lo confermano ogni giorno. Se il numero di matrimoni e unioni continua a scendere, quello di separazioni e divorzi tende a gonfiarsi. Addii che comportano, spesso, dolori e tensioni, soprattutto se la coppia non è sola. Perché accanto alle preoccupazioni e ai punti interrogativi di una nuova, e improvvisa, vita si fa largo il problema del come suddividersi i piaceri, e gli onori, dell’educazione dei figli.

Un processo legislativo lungo quello a cui è andato incontro l’ordinamento svizzero, consolidatosi in oltre tre lustri, e a monte del quale vi è il concetto, fondamentale, della bigenitorialità. Un processo che in Svizzera è stato avviato nel 2000, con la nuova legge sul divorzio, e che è passato attraverso la ‘grande rivoluzione’ del 2013 e l’approdo, nel 2017, alla custodia alternata.

Di questo importante passaggio, nel ruolo di genitori divisi ma uniti dalla presenza di uno o più figli, e dei suoi delicati risvolti sulla nostra società e sulla nostra cultura, ne abbiamo parlato con l’avvocato Maria De Pascale, esperta in diritto di famiglia e collaboratrice esterna dello studio legale Prospero di Lugano.

«Il concetto di bigenitorialità nasce nel 1989 con la Convenzione approvata dall’Onu a New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dove per la prima volta si parla del bambino in termini di diritti – ci spiega gli albori della tematica –. Il bambino, cioè, ha diritto che mamma e papà partecipino entrambi attivamente nella stessa misura alla sua crescita, alla sua formazione, e questo a prescindere che siano sposati o separati. Convenzione questa, ratificata dalla Svizzera il 24 febbraio 1997 e fra quelle che hanno ottenuto le maggiori ratifiche a livello di Stati. Non ebbe però un’immediata traduzione in pratica».

Il cosiddetto ‘appalto’ dei figli, con rispettive maggiori responsabilità, non fu dunque più solo a carico della madre? «Abbiamo varie dinamiche che si sono intersecate. Sia il legislatore sia i giudici hanno risentito per anni del modello di famiglia tradizionale in cui la mamma era la regina della casa e il papà lavorava occupandosi delle questioni economiche. Vi era una centralità della figura materna nell’accudimento dei bambini e ciò ha pesato anzitutto a livello legislativo in quanto la legge non prevedeva l’autorità parentale congiunta ma si parlava di patria podestà. Quando la famiglia, quindi, si scioglieva era un automatismo il fatto che la cura dei figli proseguisse con chi fino a quel momento se ne era occupato, e quindi la mamma».

L’apice della custodia alternata

Nel 2000, per la prima volta, viene inserita nel Codice civile la possibilità che il giudice disponga dell’autorità parentale congiunta, ma ciò con dei paletti: dev’esserci l’accordo dei genitori, altrimenti il giudice avrebbe continuato a seguire la linea di educazione del momento, ovvero l’affidamento all’uno o all’altro. Avvertendo però nel tempo un certo ‘scollamento’ dai mutamenti sociali in atto: «Le famiglie nell’ultimo ventennio sono infatti cambiate – ci illustra i cambiamenti l’avvocato –, le donne hanno sentito l’esigenza di avere una propria professione per realizzarsi, i papà hanno assaporato il piacere della partenità partecipando più attivamente all’educazione dei figli (fare i compiti insieme per esempio), quando in passato le decisioni le assumeva soprattutto la mamma e i papà andavano a rimorchio. Una legge, dunque, che non soddisfaceva appieno. Anche se entrambi i genitori dovevano essere informati e compartecipi nelle decisioni, ne perdevano la quotidianità». E le conflittualità non mancavano. «La grande rivoluzione la si ha nel 2013 – rimarca Maria De Pascale – quando entra in vigore la Legge federale sull’autorità parentale. Si ribaltano i termini e la regola adesso è l’affidamento congiunto. Con una sola differenza le coppie non sposate lo devono richiedere. I genitori insieme devono decidere per la custodia e sono coprotagonisti di un accordo, altrimenti in scena il mediatore familiare». Quattro anni più tardi, nuova fondamentale svolta, la custodia alternata.

Ascoltare entrambe le campane e rimetterle in sintonia

Avvocato De Pascale, come sono stati accolti i nuovi principi della custodia alternata nella realtà ticinese?
Il problema della conflittualità continua ad esistere sempre perché la separazione o il divorzio resta un trauma, l’adulto – che vive un lutto che deve elaborare – si porta dentro un trascorso di rancore, rabbia, risentimenti, di mancata comprensione sul quale è chiamato a lavorare. Ma non è così semplice per un genitore separare l’aspetto coniuge dall’aspetto genitore. Deve fare un lavoro su se stesso di non poco conto. Chi ha già elaborato riesce a gestire meglio il rapporto con i bambini. Serve capacità di mettersi in discussione magari aiutati da psicologi. L’importante è scindere i ruoli, ma tanti non ci riescono. La novità della legge è di imporre ai genitori: ce la dovete fare.

La difficoltà ad arrivare a un ‘compromesso’ per il bene del bambino, influisce sul bambino stesso?
Spessissimo nelle separazioni si verifica la necessità, condivisa con i genitori, di far intervenire per il bene dei bambini uno psicologo. Se, infatti, pur avendo quasi sempre in loro le risorse per affrontare la separazione, questa resta un trauma capace di scatenare nei figli il cosiddetto conflitto di lealtà, ovvero di non saper da che parte stare, se con mamma o con papà.

Ha influito e influisce la nostra cultura latina?
Penso di sì. Il Ticino ama conservare il patrimonio culturale latino, anche a livello familiare, una cultura di maggior attaccamento ai figli, e dove soprattutto la mamma ha una mentalità diversa rispetto alla mamma inglese, olandese o della stessa Svizzera interna. Spesso si arriva a credere ‘solo io sono capace di occuparmi di mio figlio’, e ciò alimenta il conflitto con il papà che invece controbatte ‘anch’io posso stabilire se nostro figlio può stare alzato più tardi a guardare con me la partita’. I nordici mostrano meno questo attaccamento ‘sanguigno’.

Viene dalla donna il maggiore pericolo di attrito mamma-papà?
Non amo generalizzare, ma in alcuni casi in effetti è così. Sicuramente una mamma eccessivamente attaccata ai propri figli, ferma nella convinzione che solo lei è in grado di gestire i bambini, alimenta il conflitto. Per questo dico sempre che nella bigenitorialità bisogna crederci. Perché funzioni l’autorità parentale congiunta i genitori per primi devono credere alla compartecipazione della crescita dei figli. Mi è capitato spesso, nell’ultimo decennio, che, mentre all’inizio della mia professione la separazione veniva vissuta male dalla donna, un po’ perché si sentiva quella più precaria, più fragile, non lavorava, e aveva dedicato la vita ai figli, adesso sempre più donne che si separano
ostentano la loro nuova vita, dicono di voler ‘iniziare a vivere’, cambiano quotidianità, abbigliamento. È un fenomeno sociale, un cambiamento culturale, che andrebbe approfondito. In quest’ottica mi sono ritrovata di recente con mamme che pretendevano la custodia congiunta.

Quali percentuali abbiamo in Ticino, e nel Luganese in particolare?
Siccome è cambiato il modello di famiglia, inizia ad esserci una maggiore apertura da parte di entrambi i genitori a prevedere la custodia alternata e una gestione del bambino paritetica, perché non solo risponde all’interesse del minore ma sovente risponde all’interesse del genitore stesso, perché sgrava la mamma comunque da tutte le responsabilità che in passato la schiacciava. E soddisfa maggiormente il papà che può continuare a condividere determinati aspetti della quotidianità dei figli. E, infine, soddisfa le esigenze di tutta la triade. Nella mia esperienza constato una maggiore apertura, in maniera soprattutto più naturale, senza che essa venga vissuta come una privazione da parte di un genitore o dell’altro.

Non si rischia di provocare nel bambino l’effetto pacco?
Questo è un interrogativo che tutti gli operatori si pongono, in primis gli psicologi e gli psicoterapeuti infantili. I figli dovrebbero sempre stare nella casa coniugale garantendogli una stabilità. Dovrebbero essere i genitori ad alternarsi. Ciò si concretizzerebbe come la soluzione migliore, ma dall’altra è cosa difficile da realizzare perché anche economicamente insostenibile. E il rischio del ‘figlio-pacco’ indubbiamente c’è. Un interrogativo che ci poniamo anche noi avvocati.

Ci può raccontare qualche caso specifico che ha vissuto?
Mi è capitato di dover rispondere alla richiesta di due genitori che volevano il figlio un giorno a testa. Ero agghiacciata. Immagini bambini sempre con la valigia in mano… Siamo riusciti a stabilire i due giorni, ma ho chiuso l’accordo con riserva. Periodi un po’ più lunghi non andrebbero che a favorire il benessere dei bambini. Pensiamo poi alle problematiche enormi che si scatenano quando i genitori non abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso comune, fino allo stesso Stato. Si aprono scenari difficili da gestire per il bambino, per esempio per le sue amicizie, la questione della duplicazione dei giochi, dei vestiti, delle abitudini. Ogni famiglia – e va ricordato sempre – è una realtà a sé stante, per questo risulta fondamentale la ricerca di soluzioni che siano fra le più ragionevoli. In questo ambito, la figura del mediatore, che ascolta entrambe le campane e cerca di rimetterle in sintonia, è molto preziosa e auspicata.

 

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