Con il termine bi-genitorialità si intende la partecipazione di ciascun genitore alla cura del figlio, alla sua educazione e crescita, alla formazione della sua personalità.
Da anni la ricerca psicologica, ed in particolare quella dello sviluppo infantile, ha evidenziato l’importanza per i figli che ciascun genitore svolga attivamente e con competenza le funzioni genitoriali che gli sono proprie per garantire loro un’equilibrata evoluzione della propria identità personale.
Ogni genitore ha un proprio ruolo e solo insieme essi si integrano e si completano: la madre, in quanto portatrice di cura, protezione ed affetto, è fondamentale per favorire il dialogo e la stima di sé; il padre, in quanto terzo esterno alla diade madre-figlio, guida il bambino fin dalla tenerissima età nel suo continuo lavoro di adattamento al mondo esterno, favorendone l’emancipazione dalla madre, ed in quanto portatore di un modello responsabile e capace di assumere decisioni e rispettare le regole, permette al figlio un adeguato sviluppo sociale ed emotivo.
Tutta la letteratura psicologica mette da sempre in evidenza il ruolo differenziale delle due figure genitoriali, mostrando come madri e padri giochino funzioni diverse ma complementari nell’educazione dei figli e nella trasmissione di competenze e valori.
Senza entrare nel merito di come la bi-genitorialità possa declinarsi all’interno delle coppie dello stesso sesso o possa essere in qualche modo “recuperata”, laddove un genitore venga, purtroppo, a mancare (non essendo argomento di questo lavoro), è chiaro che, in coerenza con le evidenze scientifiche di cui si è fatto cenno, se ne sarebbe dovuta da sempre garantire l’effettiva attuazione anche nel momento patologico della crisi della coppia genitoriale.
Ma così, purtroppo, non è stato: se all’interno del nucleo famigliare il ruolo della figura materna è sempre stato incontestabilmente riconosciuto e tutelato, lo stesso non può, purtroppo, affermarsi della figura paterna, che sovente è risultata penalizzata, in mancanza di una spontanea ed avveduta gestione da parte della coppia delle problematiche generate dalla separazione.
Si stanno, tuttavia, manifestando segnali di cambiamento.
Giuridicamente il concetto di “bi-genitorialità” ha trovato il suo primo riconoscimento nella “Convezione sui diritti del fanciullo” sottoscritta a New York il 20.11.1989, dove è stato declinato in termini di “diritti del bambino”.
Il bambino non viene più considerato solo come mero destinatario di protezione e tutela ma quale soggetto di diritti: a ricevere affetto, educazione e cura da entrambi i genitori.
Devono, però, trascorrere diversi anni prima che l’istituto trovi accoglimento nell’Ordinamento Italiano, che pure aveva ratificato la Convenzione nel 1991 ma che è ugualmente rimasto ancorato per lungo tempo al modello di famiglia istituzionale caratterizzato da una rigida separazione dei ruoli: donna/madre/cura della casa e dei figli, uomo/padre/cura delle questioni economiche.
A partire dagli anni sessanta/settanta l’affermazione della donna sul piano lavorativo ed il contestuale avvio di una sempre maggiore partecipazione dell’uomo sia nella gestione delle faccende domestiche che nella cura dei figli hanno modificato in un progressivo crescendo entrambi i ruoli genitoriali e gli equilibri famigliari.
Di tale mutamento sociale si è fatta espressione la Riforma del Diritto di Famiglia, attuata con la promulgazione della L. 19 maggio 1975 n. 151, che ha sostituito al concetto di “patria potestà” quello di “potestà dei genitori”: entrambi i genitori hanno pariteticamente il diritto ed il dovere di occuparsi della cura e dell’educazione dei figli, che assumono un ruolo centrale nella relazione famigliare.
Non a caso, in sede di separazione il Legislatore introduceva come criterio principale per stabilire a quale genitore i figli minori dovessero essere affidati “l’interesse e la tutela della prole”.
Tuttavia, per quanto il legislatore del ’75 abbia colto la rilevante trasformazione sociale in atto, i Giudici hanno continuato a dar voce alla convinzione comune che fosse comunque la madre il genitore maggiormente idoneo a prendersi cura dei figli, disponendo in suo favore in sede di separazione l’affidamento esclusivo dei figli minori (ovviamente in difetto di un diverso accordo tra le parti).
Dobbiamo, quindi, attendere trent’anni perché la bi-genitorialità trovi pieno riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico con l’entrata in vigore della L. 54/2006, che dispone come criterio normale l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, cui il Giudice può derogare solo in presenza di circostanze che, ove dimostrate, facciano ritenere preferibile nell’esclusivo interesse del figlio un affidamento esclusivo al genitore ritenuto maggiormente idoneo a soddisfarne necessità e bisogni.
Il Legislatore del 2006, quindi, ricollegandosi alla Convenzione di New York, ha dato piena dignità giuridica al principio, per cui risponde all’interesse del minore che entrambi i genitori partecipino attivamente e pariteticamente al progetto educativo, di crescita, di assistenza della prole in modo da creare un rapporto sereno ed equilibrato che auspicabilmente non risenta della separazione dei genitori.
È dimostrato, peraltro, che un’effettiva condivisione ed equa ripartizione tra i genitori dei compiti ed impegni nei confronti dei figli diminuisca il conflitto coniugale: non esiste più un genitore gravato, a volte sopraffatto, dagli impegni della vita quotidiana e le responsabilità verso i figli che crescono (madre affidataria) e l’altro che, per converso, patisce proprio l’esclusione dalla loro quotidianità, l’obbligo di poterli vedere solo in giorni prestabiliti, a volte infastidito dalla puntualità che gli viene richiesta nell’adempimento dei suoi obblighi economici, non sempre rispettata però nel soddisfacimento dei suoi diritti di permanenza con i bambini (padre non affidatario).
Insomma, l’affido condiviso vuole tutelare la genitorialità materna e paterna, garantire ad entrambi i genitori la continuità del rapporto con i figli, coinvolgendoli pariteticamente nelle scelte e nelle responsabilità affinchè non ve ne sia uno che si sente solo di fronte ai bisogni da soddisfare ed alle decisioni da prendere e l’altro che non si trovi alienato dalla sua funzione ed identità.
Riuscire, però, a mantenere separato ciò che appartiene alla sfera dei rapporti marito/moglie da quella che attiene ai rapporti figlio/padre/madre può risultare sovente complicato.
Dolori, sofferenze, frustrazioni, rabbia e rancori possono sopraffare i genitori ed impedire loro – se non adeguatamente supportati nella gestione di tali istanze – di trovare un accordo sulle condizioni della separazione e prevedere con riguardo ai figli una gestione partecipata della genitorialità, rendendo così inevitabile il ricorso al Giudice.
Bisogna constatare, però, che nelle aule giudiziarie, purtroppo, la buona volontà del Legislatore del 2006 non è stata adeguatamente attuata in quanto i Giudici, proseguendo ad adottare il criterio della “maternal preference”, hanno continuato, comunque, ad individuare nella madre il genitore maggiormente idoneo a provvedere alla gestione quotidiana dei figli e, quindi, a disporre regolarmente l’abitazione di costoro (collocamento) presso la casa della mamma e ciò anche di comprovate ed indiscutibili capacità genitoriali del padre.
Lo scenario è parimenti rimasto immutato anche dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, che ha sostituito al concetto di “potestà genitoriale” quello di “responsabilità genitoriale” per evidenziare ancora di più la centralità del bambino e delle sue esigenze rispetto alla coppia genitoriale in crisi, la quale deve essere in grado (per risultare “idonea”) di fare un passo indietro rispetto alle proprie istanze individuali e profondere il massimo impegno nel collaborare proficuamente nella cura e la crescita dei figli.
In realtà, anche negli anni successivi all’entrata in vigore del predetto decreto, i Giudici di merito si sono dimostrati favorevoli alla soluzione del collocamento presso il padre solo in presenza di gravi e comprovate incapacità della madre (disturbi mentali, uso di sostanze, abbandono, gravi difficoltà personali).
Insomma, nonostante le chiare previsioni normative, in assenza di un consapevole e volontario impegno della coppia a mettere al primo posto il benessere dei figli e garantire loro un rapporto il più possibile sereno ed equilibrato, proteggendoli dagli effetti negativi della separazione, la bi-genitorialità rischia di rimanere sulla carta.
Ciò sovente in danno della figura paterna in quanto è il padre che di norma si allontana dalla casa famigliare, perde la continuità della frequentazione con i figli, è costretto a rispettare un calendario delle visite (solitamente week end alternati ed un pomeriggio infrasettimanale) e può incontrare difficoltà nella effettiva e concreta partecipazione alla loro crescita ed educazione e, quindi, a svolgere le funzioni genitoriali che gli sono proprie, se la conflittualità con la madre è molto alta e da parte di quest’ultima vi è scarsa cooperazione.
Eppure è indiscussa l’importanza del ruolo educativo del padre per la crescita dei figli, addirittura per un corretto sviluppo del rapporto madre/figlio: importanti disagi sociali che possono sfociare in età adolescenziale in abbandoni scolastici, abuso di sostanze, bullismo, gravidanze precoci, sono stati registrati dalla comunità scientifica in giovani che non hanno avuto durante la loro crescita un’adeguata relazione con il padre.
Insomma, sarebbe auspicabile da parte dei Giudici che la decisione sul collocamento dei figli minori venisse adottata senza preconcetti che non trovano aderenza normativa e sono ormai appartenenti ad una realtà sociale che, nel frattempo, si è profondamente trasformata, così come lo sono parimenti le due figure genitoriali.
In tale ottica qualche pronuncia di merito dissonante inizia a fare capolino: mi riferisco al provvedimento del 19.10.2016 del Tribunale di Milano e del provvedimento del 2.12.2016 del Tribunale di Catania.
Sono due sentenze assolutamente innovative nel panorama giurisprudenziale italiano, che meritano di essere segnalate per l’assoluta novità delle argomentazioni sviluppate a sostegno della decisione di collocare i bambini presso il padre decisamente aderenti al concetto della bi-genitorialità.
Il Tribunale di Milano ha affermato: “…né l’art. 337-ter e ss del codice civile, né la Carta Costituzionale assegnano rilevanza o utilità giuridica a quello che taluni invocano come principio della maternal preference (nella letteratura di settore: Maternal Preference in Child Custody Decisions); al contrario, come hanno messo bene in evidenza gli studi anche internazionali, il principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto all’abbandono del criterio della “maternal preference”a mezzo di “gender neutral child custody laws”, ossia normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale”.
Ed il Giudice di Catania ha aggiunto: “….In mancanza di prova contraria, entrambi i genitori devono presumersi idonei a esercitare le loro responsabilità e a divenire affidatari e/o collocatari dei figli. Il mutamento delle condizioni di affidamento e/o collocamento dei figli, dalla madre al padre e/o viceversa, non costituisce atto violento o innaturale, essendo, al contrario, coerente in ordine alla uguale idoneità di entrambi i genitori a occuparsi dei figli e, per altro verso, utile a favorire nei figli la consapevolezza del fatto che essi sono figli di due genitori con uguali responsabilità e capacità.”.
Non mancano poi indicazioni e sollecitazioni che alcuni Tribunali inseriscono in Protocolli e/o Linee Guida per sollecitare i coniugi in sede di separazione ad adottare soluzioni che prevedano e favoriscano il mantenimento per il figlio di una relazione continuativa ed equilibrata in termini di tempo e suddivisione degli impegni educativi con entrambi i genitori (Tribunale di Milano “Linee Guida per C.T.U. in materia di affidamento dei figli a seguito della separazione” del 17.2.2012), ovvero la previsione di tempi paritetici ed equipollenti di frequentazione dei figli minorenni con entrambi i genitori (Tribunale di Perugia “Protocollo per il processo di famiglia” del 25.11.2014), ovvero la domiciliazione dei figli presso entrambi i genitori (Tribunale di Brindisi “Linee Guida per la Sezione Famiglia per adeguare la prassi giudiziaria alla legge, nazionale ed internazionale, ai cambiamenti sociali in corso rispetto alla coppia nelle loro funzioni genitoriali, agli studi scientifici italiani ed internazionali che sottolineano in maniera univoca l’importanza della presenza quotidiana di entrambe le figure genitoriali” del marzo 2017).
Insomma, pare si sia finalmente avviato il processo di adeguamento della prassi giudiziaria al dettato normativo che vede nella bi-genitorialità realizzata attraverso l’affidamento condiviso il regime normale di gestione dei figli.
Ma è evidente che i Giudici non possono da soli garantire l’applicazione concreta della bi-genitorialità: il Giudice non può supplire alla mancanza di impegno del genitore nell’evitare che il conflitto con l’altro ripercuota effetti negativi sui figli o all’ostruzionismo che uno o entrambi volutamente facciano contro possibili gestioni pacifiche e serene del rapporto con i figli.
E’, allora, necessario alimentare un cambiamento culturale che porti a vedere nella bi-genitorialità una nuova dimensione genitoriale dopo la separazione, nella quale entrambi i coniugi, a prescindere dalle cause e dalle responsabilità che hanno condotto alla fine della loro relazione, possano continuare ad essere dei buoni genitori.
Occorre promuovere interventi di sostegno psicologico o percorsi di mediazione famigliare per aiutare le coppie a separarsi, riorganizzando la vita in modo costruttivo per tutti, in primiis per i figli.
Soprattutto laddove la coppia è lacerata da problematiche conflittuali non risolte, è utile avviarla ad un percorso di mediazione famigliare, che aiuti i coniugi a contenere il conflitto ed elaborare il proprio vissuto per superare i sentimenti negativi che questo ha generato, in modo da poter avviare una sana elaborazione del percorso genitoriale e riconoscere ciascuno nell’altro un elemento importante della funzione genitoriale, il cui contatto con i figli è da coltivare quotidianamente e preservare costantemente.
Bibliografia:
- Andolfi M. (2001) Il padre ritrovato, Franco Angeli, Milano
- Bollea (1999) Le madri non sbagliano mai, Feltrinelli, Milano
- Garder R. (2002 b) L’acquisizione di potere dei bambini nello sviluppo della sindrome da alienazione genitoriale, Nuove Tendenze della psicologia, Vol. 3 n. 1,
- Salluzzo M. A., (2004) Psicopatologia nella separazione, divorzio ed affidamento, Attualità in Psicologia, Volume 19, n. 3 – 4
- F. Baldoni (2005) Funzione paterna ed attaccamento di coppia, l’importanza di una base sicura In: Bartozzi N., Hamon C. (a cura di): Padri & Paternità. Edizioni Junior Bergamo
- Emer Y R. (1994) Il divorzio. Rinegoziare le relazioni famigliari, Franco Angeli Milano.